PECCATI DI GIOVENTÙ
 Tracce del pensiero fascista nel secondo dopoguerra Lino Bertuzzi Roma 21-08-2014
Non è una novità che molti dei personaggi che dal secondo dopoguerra fino quasi ad oggi hanno avuto un grande rilievo politico si siano formati e abbiano militato nelle file del fascismo italiano, andando per fervore anche al di là delle mode del momento. Nel secondo dopoguerra, per l'ansia di rinnegare il passato e il fanatismo dei comunisti, tutto quello che era stato fatto dopo il 1928 doveva essere esecrato e condannato, quindi non si poteva nemmeno pensare.
Però, essendo sempre stato un anticonformista sin dai tempi del liceo, leggevo anche cose che non erano in linea con il momento storico.

Contrordine, compagni! Il comunicato dell'Unità: "Tutti i compagni si raduneranno oggi in via Farini, nella vecchia fede" contiene un errore di stampa ,e pertanto va letto:
"Tutti i compagni si raduneranno oggi in via Farini nella vecchia sede".

Non è stata dunque una sorpresa constatare che molti politici hanno in realtà sempre mantenuto la linea politica della loro formazione giovanile, e che pur ripudiando o nascondendo il loro passato, secondo questa linea hanno operato nell'azione politica ed economica.Una dimostrazione delle convinzioni fasciste di molte persone, viene da quel che avevo letto in tempi ormai remoti sulla rivista 'Il Borghese', e non ho motivo di dubitare di quanto apparso su "Il Secolo d'Italia" che nessuno ha mai potuto smentire. Questo giornale ha riportato alcuni scritti dei giovani fascisti Giovanni Spadolini, Amintore Fanfani, Giorgio Bocca, Eugenio Scalfari subito dopo l’entrata in vigore delle leggi razziali.

Giovanni Spadolini su Italia e Civiltà nel febbraio 1944 lamentava che il fascismo avesse perso poco a poco "il suo dinamismo rivoluzionario proprio mentre riaffioravano i rimasugli della massoneria, i rottami del liberalismo, i detriti del giudaismo".
Amintore Fanfani, nel libro Il significato del corporativismo, nel 1941 esalta "i legami che vincolano virtù civica, valore militare, sanità di razza, sentimento religioso, amor di patria". Inoltre, scriveva che era necessaria "la separazione dei semiti dal gruppo demografico nazionale" poiché "per la potenza e il futuro della nazione gli italiani devono essere razzialmente puri".
Giorgio Bocca sul giornale della federazione fascista di Cuneo nel 1942 scriveva: "Sarà chiara a tutti la necessità ineluttabile di questa guerra intesa come una ribellione dell’Europa ariana al tentativo ebraico di porla in stato di schiavitù".
Eugenio Scalfari, su Roma fascista nel 1942: "Soltanto la diseguaglianza può portarci alla aristocrazia".

Il Secolo conclude: "Eppure tutto cio' non ha impedito a Fanfani, Spadolini, Scalfari e Bocca di diventare protagonisti del percorso di consolidamento della democrazia italiana nel dopoguerra".

Però, mentre Spadolini e Bocca fecero affermazioni legate a situazioni contingenti che allora contenevano anche qualche verità, alcune affermazioni di Amintore Fanfani sono ridicole e addirittura comiche. Infatti noi italiani, come del resto quasi tutti gli europei, deriviamo da un singolare coacervo di popoli, di razze e di culture diverse, compresa quella ebraica. Quello che dice Scalfari, poi, è sinceramente incomprensibile.

Lascio alle persone interessate all'argomento scoprire i sostanziali contenuti di carattere corporativo e di impronta fascista (ramo socialistoide) nelle riforme agrarie del dopoguerra che, con tutti i loro pregi e i loro difetti e la retorica populista celebrativa ad esse connessa, sostanzialmente non son altro che il proseguimento dell'opera mussoliniana, cosí come il risalto dato agli Enti ex fascisti come per esempio la confederazione dei commercianti e la degenerazione dell'IRI che tutti ben conosciamo. Ma il tempo ha naturalmente espulso dalla scena politica i vecchi ex fascisti, e a loro è subentrata la generazione dei politici educati nella nuova piccola Italia repubblicana, che fatalmente non era all'altezza dei predecessori. Da questo derivano i nostri guai.

NOTA SULLA DIFESA DELLA RAZZA

Il 5 Agosto del 1938 nasce la rivista "La difesa della razza" - Il comitato di redazione della nuova rivista è formato da nomi ben noti: Guido Landra (l'estensore del Manifesto della razza), Lidio Cipriani (professore di antropologia a Firenze), Leone Franzì (assistente nella clinica pediatrica dell'Università di Milano), Marcello Ricci (assistente di Zoologia a Roma) e Lino Businco (assistente di Patologia all'Università di Roma), e ne è direttore quel Telesio Interlandi che, alla direzione del quotidiano fascista Il Tevere, si era distinto nelle campagne antisemite del 1934 e del 1936-37. Rivista fascista
A partire dal 20 settembre 1938 segretario di redazione della rivista fu Giorgio Almirante, che divenne successivamente leader del Msi (Movimento Sociale Italiano). Vi collaborò anche il famoso pensatore tradizionalista Julius Evola - che fu cacciato nel 1942. Tra i collaboratori anche Indro Montanelli, Giovanni Spadolini ed Amintore Fanfani. Un fascicolo conservato nell'Archivio di Stato di Roma, ci informa che la tiratura della rivista passò dalle 140-150.000 copie dei primi numeri alle 19-20.000 copie del periodo luglio-novembre 1940 (delle quali circa 9000 distribuiti come omaggi o per abbonamenti). La rivista ebbe scarsissima diffusione.

Il manifesto per la difesa della Razza fu firmato anche da Giorgio Bocca e perfino da Amintore Fanfani. Almirante non ha nascosto quei vergognosi errori giovanili, ma ne ha preso nettamente le distanze” (Gianni Alemanno).